La prima volta che varcai la Val di Mello pensai di star camminando in un luogo che doveva verosimilmente somigliare tantissimo al concetto di eden. Rimasi quasi accecato dai colori, ed in estasi dinnanzi alle sue montagne rocciose che abbracciano l’intera vallata come fossero titanici monoliti. Come se King Kong e Godzilla si fossero pietrificati mentre erano di passaggio e davanti loro ogni volta provo un senso di infinita reverenza mischiata ad una paura che definirei ancestrale. Montagne immense ed invincibili che evocano le innumerevoli foto e documentari dello Yosemite Park, la famosa riserva naturale tra la Sierra Nevada e la California. Dinosauri di roccia che dominano su questa valle da milioni di anni, da prima della nascita dell’umanità e forse anche da prima che la vita stessa si affacciasse da queste parti prima con le conifere, poi con la vegetazione ed infine con la fauna in grado di sopravvivere in condizioni così estreme ed impossibili da doverci far nascere dentro con la forza uno spontaneo senso di rispetto.
Montagne che ti portano quasi in maniera ineluttabile a lavorare con la fantasia, immaginando come poteva essere quel luogo all’epoca in cui il ghiaccio, alto anche centinaia di metri in un ormai lontano passato, ricopriva tutto come una gelida coperta. Nei miei viaggi onirici ad occhi aperti, fatti scrutando col naso rivolto verso l’alto queste montagne ho saggiato l’impossibile, figurandomi un luogo alieno in cui l’uomo non sarebbe mai riuscito a sopravvivere. Un mondo preistorico, avido di emozioni estreme, eppure al tempo stesso così folle, fertile e creativo da generare la vita, ricca di colori suoni e profumi estasianti. I primi a colonizzare quesi luoghi furono i muschi, pittori mai davvero riconosciuti come tali che dipinsero attraverso macchie di colore quella tela bianca apparentemente sterile fatta di ghiacci millenari e neve. Poi arrivarono le prime piante, i primi fiori e di conseguenza la prima varietà di colori e profumi. E a dimostrazione che il cuore della vita è folle e dentro di esso si nasconde una vitalità incontenibile ecco che col tempo anche un ghiacciaio antico migliaia di anni prende lentamente le sembianze del luogo che oggi possiamo ammirare. Inoltre questa sequenza è ancora oggi visibile salendo di quota. Basta partire dall’inizio della valle per poi scalare le pendici per assistere ai cambiamenti della vegetazione intorno a noi, sempre più rada andando verso l’alto eppure comunque presente fino a ridosso del ghiacciaio rimasto.
In un perfetto equilibrio tra eventi casuali e la volontà misteriosa della vita di esistere, la valle è stata nel tempo costellata di cascate e torrenti. L’acqua scorre tutto l’anno giungendo da luoghi sotterranei misteriosi e modellando con una pazienza che rasenta l’ossessione l’intera vallata. Scorre, creando pozze di pura limpidezza in cui tuffarsi e la vista di quest’acqua che prende sfumature che vanno dal verde smeraldo all’azzurro fa riemergere dentro di noi immagini di un passato lontanissimo, rimasto intrappolato nella memoria inconscia del nostro DNA, quando i nostri antenati grazie a quest’acqua hanno potuto prosperare. Una memoria collettiva ma anche oscura, che ha plasmato i nostri istinti ed il nostro legame di dipendenza con luoghi come questo, dotati della magia di riportare alla luce sensazioni così antiche. Sensazioni che ci appartengono molto più di quanto ci possa mai appartenere un casa, un’auto, o il denaro che altro non sono che oggetti dal valore impermanente.
Camminare nella foresta della Val Masino significa ritornare ai primordi di noi stessi. Liberarci, anche se solo temporaneamente, dell’ingombrante illusione che questa civiltà ci ha installato nel cervello come un virus in grado di degenerare il nostro vero io.
Foreste di larici, faggeti, enormi monoliti rimasti come retaggi dell’era glaciale, scoiattoli e stambecchi. Oggi osserviamo tutto questo come fossero oggetti scenografici in un luna park, messi li da qualcuno per il nostro piacere estetico, una sorta di set fotografico. Ci avviciniamo a tutto questo come faremmo come per un villaggio turistico, costruendoci sopra ristoranti in cui poi si mangia la carne di quegli animali, oppure che arriva da qualche allevamento intensivo a poche decina o centinaia di chilometri. Carne che arriva da luoghi in cui l’animale non ha più nessuna dignità. Dignità persa anche da chi li alleva, chi li macella e in definitiva chi li mangia e non vuole fare i conti con la realtà. Ci divoriamo l’anima della valle nello stesso modo in cui ci divoriamo la valle stessa. Siamo animali disorientati e disconnessi ormai incapaci di essere parte di quel mondo che ci ha generati e che tutt’ora ci permette di esistere.
Dopo un’ora e mezzo circa di cammino, partendo dal paese fino a fondo valle, eccoci risalire le pendici attraverso un’immensa pineta in direzione della cima del Monte Disgrazia ed il suo ghiacciaio, ultimo baluardo della distesa infinita di ghiacci che fu. Per darvi un’idea di quanto incredibili fossero i ghiacci durante l’ultima era glaciale basti pensare che a pochi km dalla città di Lecco, e più esattamente poco sotto la cima del Monte Moregallo che si affaccia sul romantico panorama del Lario, è presente un sasso erratico alto pressapoco 7 metri chiamato Sasso Preguda e proveniente proprio dalla Val Masino. A trascinarlo fin li furono proprio l’accumularsi e la successiva fusione dei ghiacci che in migliaia di anni e con una forza inimmaginabile ha trascinato questo enorme masso per decine e decine di chilometri.
Camminare in pineta è un esperienza che tocca i sensi, soprattutto l’olfatto costantemente stimolato dai profumi del sottobosco che l’umidità dei tanti rigagnoli presenti riesce ad esaltare. Profumo di aghi di pino e resina che ricoprono il terreno come un morbida tappeto, ma anche profumo di corteccia, di muschio e di funghi.
La pineta è come quei luoghi usciti dalle favole, in cui ti aspetti di poter avvistare fate ed elfi, gnomi e piccole creature magiche comparire da dietro le rocce o dietro qualche enorme tronco sopra i quali non è raro avvistare invece qualche scoiattolo che ci spia curioso.
Risalendo la montagna il paesaggio assume ancora di più il sapore del selvaggio e dell’antico. Lassù, anche se l’uomo ha comunque osato sfregiare il panorama con rifugi e baite, ancora si respira quell’aria di libertà e di pericolo. Libertà e pericolo sono due concetti coincidenti in natura, ed essere liberi è la diretta conseguenza dell’esporsi a dei pericoli mentre la nostra società ci lusinga con la promessa di protezione e sicurezza, quasi sempre a prezzo della nostra anima. Perchè in quest’epoca la nostra anima ha un costo ben preciso, in denaro per l’esattezza.
Il senso di sicurezza lassù però viene meno e chi cerca di portare quell’illusione in luoghi come questi si può solo che ritrovare nudo. La montagna richiede un’attenzione, una concentrazione ed un rispetto tali da doverci dimenticare ogni confort ed attingere fino a fondo ai nostri sensi ed istinti per sentirci a nostro agio. La montagna, come ogni ambiente naturale sul pianeta è la versione più originale della realtà, anche se ben celata sotto strati e strati di illusioni e convenzioni sociali, che ci fanno di conseguenza vivere come se il mondo intorno a noi fosse solo un qualcosa da sfruttare e divorare. Gli animali che sopravvivono a queste altezze sono esposti a intemperie e difficoltà fisiche che hanno spinto la loro evoluzione a perfezionarsi a tal punto da sembrarci quasi alieni, oppure esseri viventi generati dalla penna di qualche scrittore di fantascienza.
Raggiunta quota di 1600 metri il quotidiano si dissolve in un fumo così lontano da essere dimenticato, e camminare lungo i sentieri richiede un’attenzione tale da assorbire completamente i nostri pensieri. Affiorano così nuovi pensieri più leggeri, nitidi e freschi, perchè non hai più tempo da dedicare alle ossessioni ed al rimuginio. Osservare la Val di Mello dall’alto da un senso di eterno ed infinito che rigenera. Mi sono ritrovato spesso con la fantasia di spiccare il volo come un falco per sorvolare la vallata trascinato dalle correnti. E’ il risveglio di quello che io chiamo lo sciamano dentro di noi, ossia quella parte si umana, ma più istintiva e sensoriale che permette alle emozioni di dilatarsi sino a riempirci la testa il cuore ed il corpo intero, fino alla punta dei piedi.
Ed è col suono costante dell’acqua che sgorga dal vicinissimo ghiacciaio scorrendo veloce verso valle con balzi di metri che decido di prendere l’ultimo sole sul viso… prima di cominciare la discesa.